venerdì 5 agosto 2011

lisboa




A Lisbona tutto si ferma, ogni cosa evolve verso l’infinito, 
scorre come lento scorre il Tago 
che non si accorge dell’oceano e delle burrasche invernali.
Così, viandante, ci si ferma sui tetti e ci si sente fiume.
Qui la fede è una casa sull’altra, un mattone sull’altro 
in attesa del tramonto, 
tra il viola del cielo e l’azzurro del fiume. 
Si sente la gente tra le vie, urlare, ridere, piangere. 
Ogni urlo, sorriso, lacrima 
qui è eterna perché scivola verso l’oceano e si fa mare.
Qui tra queste vie, dove gli ingranaggi di un vecchio orologio segnano le due e venti di un giorno senza tempo, 
io mi fingo come colui che qui visse 
e scrisse all’ombra di un cappello.
Poeta, viandante, marinaio, operaio, cameriere,
senza faccia e senza nome.
Obrigado, obrigado, gridava la città, 
obrigado le dicevo io, obrigado di avermi dato un’anima, 
imperfetta si, ma un’anima. 
Scende la notte e il 28 fa sentire ancora il suo respiro:
è il lamento di Doña Rosa,
è il sorriso di Corradiño.
Benefica, Benefica urlava … l’unica lingua che ci univa al mondo, perché il mondo era un pallone
e come un pallone andava preso a calci,
calciai anch’io e rimbalzò dall’Alfama al Bairro Alto,
dalla Baixa a Mouraria, per tornare come il 28 qui a Sao Gorge, dove la notte calava già:
“vou onde o vento me leva e não me deixo pensar”
diceva la mia nuova maglietta.
Io la indossai e la portai in giro per il mondo.








testo e foto s. mangiameli