mercoledì 2 novembre 2011

Der Susan Sontag stil




La fotografia che sta al potere si nutre del potere
comprova il reale, ne dirige la percezione,
manipola l’esperienza.
Parziale e limitata si finge realtà,
investe il presente,
violenta la memoria, l’aggredisce.
L’aggressione è implicita in ogni sua forma d’uso:
annulla il soggetto, il piano curvo dell’occhio,
le aberrazioni sferiche dello sguardo,
la possibilità e la gioia dell’errore,
massifica la visibilità dell’esperienza,
trasformandola in didascalia.
Rito sociale per difendersi dalla solitudine,
calmante per l’angoscia,
oblio per l’insicuro.
Inversamente proporzionale alla memoria del passato,
essa denuncia una rottura traumatica con la storia.
Allo stesso tempo necrofila e necrofoba. 
Abitudine all’osceno,
atrocità consuetudinaria,
consumo e abuso del terrore.
Invettiva focale condivisa nel consenso mediatico delle masse,
quindi narcotica e complice della tragica morte dell’io.
Ma c’è altro?
L’impegno nel suo eccesso può addormentare le coscienze quanto destarle?
L’etica di uno scatto,
sia esso eretico,
lontano dal presente e dal veto ideologico delle masse,
può ridursi in mediocre estetica?
L’arte è solo il frutto di una combinazione tra tempo e consenso?
C’è altro al di là del cerchio o meglio al di là del quadro?
Se la fotografia -quella che rinuncia e si oppone al potere-
frantuma il reale
e ritesse la trama del racconto dell’esperienza umana
secondo schemi urticanti, solitari, carichi di attrito,
senza merletti, bollicine e vernissage,
come fili tesi dalla mente al cuore
trasformando le ombre in vita e la luce in morte,
può dunque svelarsi nei limiti catodici di un consenso mediatico?
C’è qualcos’altro “Sulla fotografia”?
Si! Un viaggio all’estremo,
una ricerca del diverso, equanime nell’osceno e nel riconoscimento del grottesco,
sofferenza umana solitaria,
stagione all’inferno da cui  tornare,
cambiati per sempre e senza battere ciglio.



fotografie e testi Santo Mangiameli