lunedì 27 febbraio 2012

Trinacrian space: così la roccia all'albero: “Sete di libertà e fame di terra”



Se “muoversi è un bisogno insopprimibile dell’anima, una dimensione spirituale della conoscenza, una comprensione dell’io attraverso la molteplicità dell’esperienza, se il viaggio ha la sua vocazione, i suoi imprevisti, e il tempo lo si misura sulla libertà dello spazio e sull’intensità della conoscenza”, a noi tocca decifrare segni e significati. Nel cammino, le prime orme sono quelle della terra, la nostra terra, e con essa i venti e l'azzurro  del cielo. A me della terra piacciono i colori e la linea dell’orizzonte che li divide in campiture terse e definite,  quasi pezze cucite ai margini dell’infinito, chimica burlesca del divenire, allegra forma formante, carillon cosmico a tempo di storia. Così che la linea azzurra decanta sulle zolle, sulle pozzanghere della terra; così che il silenzio lontano si fa subito storia: memoria cromatica, esplosa in gesti antichi, in misteri millenari: ogni croma una nota, ogni nota una lotta, ogni lotta la stessa idea di liberta'. Lì sulla linea finita dell’orizzonte un vocio di uomini: in mezzo misteri eleusini, culti mitraici, gregoriani, gigli francesi e galee spagnole, moschetti e aquile imperiali, criminali, potenti e latitanti, mitraglie americane, scudi crociati   tutti assetati di terra. Baronie, viceregni, latifondi, crisi ciclica e delusione profonda. “Sete di libertà e fame di terra”, che diventa lotta contadina, torto da riparare, 
* La citazione del titolo è di Palmiro Togliatti in Il popolo siciliano ha sete di libertà e fame di terra, su L’Unità 3 settembre 1944; la citazione del testo è in:(http://santomangiameli.blogspot.com/2012/02/trinacrian-space-una-nuova-letteratura.html


   
                        testi e foto: santo mangiameli

sabato 25 febbraio 2012

Universitinforma time out: ritratto d'artista


http://issuu.com/universitinforma/docs/universiti_dicembre
http://issuu.com/universitinforma/docs/universitinforma_aprile2009#download


martedì 21 febbraio 2012

Trinacrian space: una nuova letteratura del viaggio.


Mappe come rappresentazione del reale, segni civili di un dominio militare della terra, calcoli decimali che trasformano il viaggio in libertà inversamente proporzionali al potere d’acquisto. Scalate in borsa, fallimenti controllati, crack bancari, bolle finanziarie, agiscono come assiomi sullo spazio e il tempo reale,  determinando possibilità e velocità dei nostri desideri, dei nostri movimenti. Low-cost, last minute, tour operator e quant’altro modulano poi, come transenne, la libertà dei nostri pensieri in percorsi prestabiliti, così che il viaggio diventa vetrina ad uso e consumo.  


Ma muoversi è un bisogno insopprimibile dell’anima, una dimensione spirituale della conoscenza, una comprensione dell’io attraverso la molteplicità dell’esperienza. Se il viaggio ha la sua vocazione, i suoi itinerari, i suoi imprevisti, le sue riflessioni, il tempo del viaggio si misura sulla libertà dello spazio e sull’intensità della conoscenza. La nuova declinazione del verbo mi porta dunque in una dimensione, altra, dove ogni categoria -centro e periferia- ribalta se stessa, come fosse una rifondazione. Allontanarsi dal centro per capire cos’è il centro, abbandonare la periferia per capire cos’è la periferia. 


Spostamenti incrociati su una retta continua che dall’infinito al punto dichiara sempre una nuova idea di libertà. Nasce così una nuova letteratura del viaggio, la letteratura dell’invendibile, che abbraccia l’uomo e la terra, nella sua semplicità di essere umano ed elemento biotico, così che l’esperienza con l’indicibile del viaggio diventa riflessione -politica- sul reale. Qualcuno la chiama odeporica, io la chiamo vita, fine a se stessa; in cammino: per primo la mia terra, la mia storia. Voglio scavare la mia terra e il mio cielo e ritrovare in quei colori l’idea del divino nella storia dell’umano; in cammino dunque, verso se stessi, perché per me non c’è differenza tra le mani di un uomo e un campo arato, tra i colori di uno scialle, di un mosaico e dell’orizzonte e se il confine è d’aria e luce, lo spazio si nutre anche di terra: il paesaggio e l’uomo come storia. 
.precisazione:

Queste foto sul paesaggio siciliano,così come tutte quelle edite sul mio blog, segnano l’inizio di un viaggio iniziato tanti anni fa, maturato nel tempo attraverso letture, ascolti, incontri, spostamenti, più o meno imprevisti. Un viaggio che si è trasformato in una “politica” del viaggio, in impegno verso ciò che ancora può stupirci, nella denuncia di una perdita e delle violenze  suibite dal nostro ecosistema. Passo iniziale: la liturgia di una bellezza naturale, la meraviglia del sistema terra che ci racchiude,  l’idea di una sua cultura, l’amore verso la nostra terra, verso la nostra storia. 
























             ©foto e testo santo mangiameli

venerdì 10 febbraio 2012

MSK.fm » World Fridays 2012 @ KCSF Radio





Here we go with 2012 edition of KCSF World Fridays hosted by Antonino Musco MSK....fm – airing every friday 1-3pm PDT at KCSF 90.9FM in San Franciscowww.ccsf.edu/kcsf With a new stunning brand image taken from the amazing sicilian photographer Santo Mangiameli (check his blog for awesome images and words), the 2012 edition is gonna feature special guests on studio, broadcasting as usual your favorite music from all over the world. Every week is a musical journey through cultures, places, folklore, guests and sounds. 

WF2012 episode 0 with Hanna Rifkin
WF2012 episode 1 with Will Magid


                     MBA/4tet foto: santo mangiameli













Antonino, dj da Lentini a San Francisco
«La mia vita oltreoceano? E’ un progetto»

 Un passato da mediattivista con un laboratorio nel cuore di Catania. Poi un periodo a Roma dove ha lanciato il Sicilian AV project. Infine il viaggio più lungo, fino a San Francisco. Adesso Antonino Musco studia, lavora come dj in una radio locale, fa serate e guadagna facendo quel che lo appassiona. Un esperimento che spera di concludere tornando dalle campagne lentinesi da cui è partito
Dj_interna
«Quando sento certe notizie dall’Italia, mi addanno (un sentimento a metà tra lo struggersi e l’arrabbiarsi, ndT). In Sicilia, poi, è più dura che altrove». Antonino Musco, lentinese di 32 anni, di cose per cui addannarsi ne ha viste troppe. «Vengo da un passato di mediattivismo. A Catania con alcuni amici avevamo creato un laboratorio, Gebel, e lavoravo anche alla redazione de L’Erroneo. Con tutto quello che ne conseguiva, sconfitte soprattutto». Un laboratorio e un giornale in pieno quartiere Antico Corso, un polo culturale chiuso dopo un intenso periodo di lavoro.
Ma la voglia di comunicare attraverso la musica non era semplice da soffocare. Da qui la decisione di partire, andare oltre lo Stretto, per fare tappa per cinque anni a Roma. «Ho vissuto nella capitale dal 2005 al 2010 – racconta -. Con due amici abbiamo creato un progetto basato sulla letteratura siciliana, Sicilian AV project. Abbiamo avuto delle soddisfazioni e nel 2008 abbiamo riscosso un discreto successo. Ma Roma è come una grande Sicilia: clientelare e, soprattutto, provinciale. L’anno dopo, nel 2009, sono capitato a San Francisco quasi per caso e un anno dopo mi sono trasferito».
L’idea in testa è sempre quella, lavorare nel mondo della musica. «Quando dicevo che avrei voluto lavorare in questo campo, già gli amici mi erano contro. Qui in California è completamente diverso. Non importa da dove vieni, conta chi sei. Ti mettono subito alla prova». Parte così una scommessa con sé stesso: «E’ un progetto, il mio progetto. Ho iniziato a costruire un network partendo da zero, è una bella sfida».  Difficile, anche se – secondo Antonino – la scelta più difficile sarebbe stata quella di rimanere a Catania: «Siete voi coraggiosi a restare», afferma con sicurezza.
«In tutto il mondo vai avanti per amicizie, connessioni. In Italia il sistema è malato, questo è il limite. La cultura non circola, cosa che non avviene in quel porto di mare che è San Francisco – racconta – La California, San Francisco in particolare, è ancora più avanti che gli Stati Uniti». L’ambiente ideale per chi vuole fare il dj: «Tutto diventa più semplice, non ci sono timori reverenziali, c’è molta più tranquillità. Ti capita anche di incontrare Lawrence Ferlinghetti sull’autobus». Una metropoli, ma welcoming.
Per il momento Antonino si divide tra lo studio in una scuola di broadcasting, un programma radiofonico – nel quale è Your favorite pizza DJ – e alcune serate in giro per la città: «Suonare in Italia è difficile. Qui posso fare più esibizioni in una sola serata, andando in bici da un locale all’altro. Ci si campa – continua – e ci sono le possibilità per poter arrotondare».
La gavetta a Catania, senza dubbio è stata formativa. «Il fatto di partire dalla Sicilia, con tutte le difficoltà del territorio, mi ha dato senza dubbio una marcia in più». Anche se ci sono giorni in cui tutto sembra un po’ più difficile. «Alle volte è duro: ci sono sapori e odori che ti catapultano attraverso l’oceano. Vivi in una sorta di limbo, ma ne vale la pena – sospira – Probabilmente mi sposterò in California, ma per il momento non è il caso di tornare. Sono in una fase di apprendimento». E c’è da fare i conti anche con quanti sono rimasti lontani, al punto di partenza: «Mia madre ha capito, ha visto che in due anni passati qui ho fatto più di quanto ho realizzato in cinque anni a Roma. Qui c’è crescita, i soldi girano. Inizialmente, abituato alla vita in Italia, pensavo che mi pagassero troppo. Poi pian piano ho realizzato che tutte le professioni devono avere la giusta retribuzione».
Lo studio, prima, la rete di contatti dopo. E tra qualche anno? «Il mio sogno è tornare nelle campagne lentinesi, lavorare alla mia musica e poi farla conoscere attraverso il web».


domenica 5 febbraio 2012

L’elefante innamorato e l’innocenza del Vaccarini


Catania,1737. Erano passati due anni da quando l’architetto palermitano Vaccarini, tra i lavori del cantiere, si apprestava a ultimare la fontana dell’elefante. Qualcosa d’importante sembrava venisse  a compimento per quei catanesi che da sempre guardavano, con timore, quel pachiderma di lava di cui nessuno sapeva chi, quando e da dove fosse venuto.  Alzare gli occhi al cielo, era come staccarsi dalla terra e sentire nello stesso istante, all’ombra delle sue zanne, quei tremori che quarant’anni prima avevano non soltanto raso al suolo le chiese, i palazzi e le piazze, ma decimato migliaia di uomini quasi volessero cancellare per intero la città. Un pensiero di morte e polvere si levava sulla piazza circondata dalle macerie come all’indomani di una battaglia. A segnare il tempo della rinascita, non più voci di gente, ma un picchettare silenzioso di scalpellini curvi sulla pietra. Lo spirito caritatevole, coraggioso e spartano dello sposo di Maria Gomez de Silveyra, quel Duca di Camastra, vicario del regno, morto appena trenta anni prima, aveva ceduto il passo all’educazione romana dell’architetto palermitano, che poco aveva a che vedere con gli incubi di una città spettrale e semideserta. 


Ma il nuovo volto incominciava a delinearsi a partire proprio dal suo centro che gravitava come nuova galassia attorno al peso mistico di un elefante di lava. Così accadde circa duecentosettantacinque anni fa. La fontana era pronta e a far da perno l’architetto, che di elefanti ne aveva visti di certo durante gli studi fatti nella capitale, decise di mettere un obelisco. Tra i notabili e le dame, vestiti a festa con gilet ricamati in seta, paillettes, pantaloni in raso, corpini in taffetas, broccato e robe francesi, e il resto della folla, un po’ più sporca, unta dal lavoro e imbiancata  dalla polvere spirata dalle macerie, tutta riunita a omaggiare nel felice giorno l’avvento del nuovo tempo, si presentò dinnanzi al giovane architetto, una minuta donna che per pochi tarì volle vendergli dei fogli, simili a carta straccia, sui quali a mala pena era visibile il disegno di un elefante del tutto simile a quello che egli stesso aveva creato.




Tremante per l’indicibile presagio e sudato come in un sogno febbrile, il giovane architetto stentava a credere al significato di quelle frasi in latino  che narravano del viaggio e dell’incontro tra un giovane e un gigantesco elefante gravato dal peso di un obelisco sulla groppa. A chiare lettere e come monito sulla bardatura si leggeva "Cerebrum est in capite", ovvero l'intelletto è nel capo, mentre sulla fronte del pachiderma il duplice motto "fatica e industria". La storia narrava poi di come il giovane entrasse all’interno dell’animale attraverso un basamento, decorato su entrambi i lati da due figure, di cui una virile che invitava a continuare la “ricerca” e una femminile che suggeriva di "non toccare il corpo" e a "prendere la testa". Confuso e perso tra il brusio della folla indifferente, la venditrice completò il senso della sua merce, ammonendolo a bassa voce: "imperocché nel mundo chi vivendo vole thesoro avere, lassi stare el marcescente otio, significatio per il corpatio, et togli la decorata testa, che è quella scriptura, et hai thesoro, affaticantise cum industria". Stordito dal suono delle campane, dalla fanfara militare, dagli applausi della gente e abbagliato dal sole, con le mani in tasca in cerca di altri tarì che potessero aiutarlo a capire meglio, vide quell’elefante di lava, iniziare a muoversi e a volare, invitando gli astanti a vincere la "forza di gravità"  e a guadagnare il "thesoro" della sapienza divina, che altro non era che l’emanazione di luce che veniva dall'obelisco. L’opera era compiuta, sotto il suo velo, un sogno svelava l'iniziazione dell'anima al suo destino segreto: l'unione mistica tra Amore e Morte, ma nessuno se n’era accorto. Dal coro di voci qualcuno invocò il nome del mago Eliodoro, pensando che quelli fossero i fogli del suo cerimoniale ebraico, altri pensarono che fosse opera del demonio, altri un'antica leggenda che narrava della ferocia di un elefante che in tempi antichi aveva difeso la città cacciando i nemici, altri ancora incominciarono a roteare come dervish al suono di Balad-el-fil e Medinat-el-fil, i restanti raccolsero qualche scatto con i loro i phone. Né l’architetto, né i notabili, né l’esercito e alcun domatore indiano, pakistano o cingalese che fosse riuscì ad aver la meglio sull’animale che da quel giorno continuò a volare sulla città rendendo impossibile la vita ai suoi malversatori e facendo beffa dei potenti.














                    testo e foto di s.mangiameli