sabato 28 dicembre 2013

C.a.r.a natale, gli anni passano ma tu non cambi mai.


Adesso sembra chiaro cos’è il sistema accoglienza italia: bocche cucite, docce fredde, suicidi, proteste, blocchi stradali, permanenze forzate, diritti negati, sono segni concreti di ciò che è la vita all’interno dei centri d’accoglienza. Tutti gli episodi raccontati dalla cronaca, anestetizzata per anni dal tragico epicentro degli sbarchi, non sono novità dell’ultima ora. Ad esempio il cara di Mineo nasce nel 2011 e da allora per i suoi “ospiti”, oggi circa 4000, le difficoltà non sono cambiate affatto. La storia dei migranti, così come in questo paese si è voluta raccontarla, non si ferma soltanto allo sbarco né tantomeno a Lampedusa perché si apre al presente dell’Italia e alla dura realtà dei centri d’accoglienza. Dal CSPA lampedusano di contrada Imbriacola –da dove provengono le dure e assurde immagini delle docce anti scabbia e dove ancora oggi sono reclusi il suo autore e altri 16 migranti tra cui superstiti del naufragio del 3 ottobre - al Cara di Mineo c’è un filo diretto evidente non soltanto nei tempi di detenzione dilatati ben al di là dal limite previsto dalle normative dell’Unione Europea ma soprattutto nel tipo di amministrazione. LampedusAccoglienza Srl, cooperativa che gestisce il centro lampedusano, nasce infatti dall’unione di una più piccola cooperativa agrigentina, la bluecoop, e del consorzio catanese Sisifo che tra i tanti centri d’accoglienza quali il Cspa di Cagliari-Elmas e il Cara di Foggia, gestisce il mega e super affollato c.a.r.a. di Mineo. A sua volta la Sisifo è al vertice di un sistema d’imprese partner tra cui la Senice Hospice, Casa della Solidarietà e Cascina Global Service, vicinissime rispettivamente all’area cattolica di Comunione e Liberazione, all'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento, San Tifone e  Domus Caritatis. Tutto ciò in assoluta controtendenza con il lavoro del Papa che con l’Urbi et Orbi di Natale invitata fedeli e no ad una riflessione concreta sulla vita dei migranti, sulla tratta di esseri umani e sui conflitti che attualmente chiamano in causa Siria, Palestina, Iraq, Nigeria, Sud-Sudan, Congo, Repubblica Centroafricana e Corno d’Africa. E’ così che si spiega abbastanza bene come l’intreccio tra affari e politica sia la leva di un sistema che gioca al ribasso sui diritti umani e che qualcuno si ostina ancora a chiamare “accoglienza”. Se l’esistenza del cara di Mineo equivale in affari ad un indennizzo annuo di sei milioni di euro versato alla Pizzarotti e se il contributo medio di circa 30/36 euro per migrante assicura fatturati pari a circa 5 milioni di euro annui alle società che se ne occupano, non credo ci sia altro da aggiungere. Capovolgendo i conti si può dire che il cara di Mineo conta un investimento in sigarette pari a 160mila euro negli ultimi cinque mesi. E’ questa l’accoglienza italiana e va detto chiaramente perché se l’attenzione sul centro lampedusano  compie il miracolo facendo si che finalmente il dibattito superi l’epicentro mediatico dello sbarco, le indagini devono necessariamente aprirsi alla realtà ben più complessa dei centri di accoglienza italiani. Mineo con i suoi suicidi parla ad alta voce all'opinione pubblica svelando cos’è la vita all’interno di un centro, chi sono i migranti, cosa c’è dietro ogni singolo viaggio, quali le ragioni; ma si sa che qui nel nostro paese da decenni la politica estera e la storia dei conflitti africani e del medio oriente rimangono argomenti volutamente trascurati dai media. Nonostante i silenzi e le omissioni di un governo totalmente disinteressato, i coup de théâtre di un ministro degli interni figlio della Bossi-Fini e i finti spot umanitari, sono convinto, che sia necessario portare avanti altre idee sull’accoglienza. 

In tal senso mi piace condividere le parole di Fulvio Vassallo Paleologo apparse di recente su Meltingpot:
“Perché nessuno ha il coraggio di affidare il monitoraggio ad organizzazioni terze non coinvolte in rapporti convenzionati con il ministero dell’interno? Perché non ai Garanti nazionali per minori e detenuti? 
Anche se non ci saranno archiviazioni da parte dell’autorità giudiziaria, presto interverranno organizzazioni internazionali a ricercare le reali responsabilità dello sfascio del sistema di accoglienza in Italia. A questo punto non è possibile aggirare alcune richieste immediate:
Come il decongestionamento dei centri di accoglienza in Sicilia con trasferimenti in altre regioni italiane, con le risorse portate dalla legge di stabilità, in modo da creare un vero sistema di accoglienza nazionale, chiudendo la struttura di Mineo ed assegnando a Lampedusa la funzione autentica di centro di prima accoglienza e soccorso per massimo 48 ore.
Come la rinegoziazione o la sospensione temporanea del regolamento Dublino per ragioni umanitarie in particolare per i migranti provenienti dalla Siria (…) Come il passaggio del sistema di accoglienza dai CARA ai centri SPRAR, con un ruolo maggiore di gestione e di controllo affidato ai comuni ed alle associazioni locali, reintroducendo i controlli contabili della Corte dei Conti e garantendo procedure di assegnazione a rilevanza pubblica in modo da evitare il massimo ribasso e la selezione di gestori inaffidabili.
Come il rigoroso rispetto da parte delle questure e delle prefetture delle normative interne ed internazionali che prevedono la immediata formalizzazione delle misure restrittive della libertà e delle richieste di asilo, l’accesso ai diritti di informazione legale e di difesa, senza quei margini di discrezionalità che hanno consentito finora trattenimenti senza il rispetto del principio di legalità e della riserva di giurisdizione. Si tratta di condizioni minime, che in questo mare di disumanità, basterebbero quantomeno a restituire dignità alla vita di migliaia di persone”.


testo e foto Santo Mangiameli


riferimenti:

http://sandraq85.blogspot.it/2013/07/lampedusa-dai-media-e-storia-migrante.html
http://santomangiameli.blogspot.it/2013/07/lampedusa-dai-media-e-storia-migrante.html



sabato 14 dicembre 2013

La mimica del Grillo: così dal comico nasce il tragico.



L’atmosfera è inconfondibile, quella di un paese in festa. 
La gente, che riempie le strade e la piazza è la stessa che da sempre, almeno una volta l’anno, si accalca sul corso, anche l’odore è di torrone e zucchero filato. 
L’attesa però è diversa: per una volta a spalancarsi non sono più le ante tarlate della vecchia matrice ma l’oblò di un carroccio itinerante che al paradiso ha preferito un cielo a cinque stelle, alle vesti  mute del santo la vis comica del guitto, alla sacralità un po' naïf dell’icona lignea l’icasticità grottesca della pantomima. 
Qualcosa è cambiato, a dire il vero non saprei cosa, ma a naso direi proprio di sì e la piazza ne è la dimostrazione. 
A sentirla ridere mette quasi paura: ecco il nuovo che avanza, la kermesse messianica, il potere taumaturgico. 
Troppa semplificazione nei concetti, 
confusione sul chi, sul come e il dove, nessuna distinzione tra presente e passato, storia e idee. 
Forse sono questi i mattoni di un nuovo muro tutto italiano, e c’è chi sui muri ci sa stare, 
perché non è dei mattoni la natura del muro, 
ma dell’autorità con cui si è soliti chiamarlo muro. 
Così dal comico nasce il tragico.

Nel disagio mi astengo. Se il frastuono e la nuova fede urlata -che tutto vuole, tutto abbraccia, tutto esalta e tutto nega- cresce in modo esponenziale all’unisono dei gesti del piccolo architetto del nulla, provo a scivolare nel silenzio, 
ad annullare la panto-fonia 3.0, 
ad ascoltare con gli occhi, 
immerso nel silenzio di una vasca.
 Qui tra lo sfocato delle bolle ci vedo meglio. 
Ovattare gli idoli è la mia idea di democrazia: funziona ancora. E poi sarà anche che a me piace il tonno e che difficilmente mi torna identico al parlamento.











testo e foto Santo Mangiameli