lunedì 18 maggio 2015

Trinacrian space: Sua santità Balansûl


Sua santità Balansûl, dall’alluce incarnito, coi piedi scalzi di San Paolo e sui sentieri del mito; oltre i carrubi e all'ombra delle montagne, c’è ancora qualcosa da dire, qualcosa da mostrare, un bosco per gioire, aria sana da ingoiare; non fosse altro per snidarsi dal postmoderno, dall’indecenza del trasformismo, dalla claustrofobica e necessaria evidenza del buono e del giusto; in questo vuoto, nella grancassa dell’abbandono, un gesto compiuto, un’idea di bellezza fatta pietra, divenuta albero, brucia al sole dell’altopiano: silenziosa e perenne denuncia del crollo delle idee, della violenza che assassina la mano, che seppellisce gli occhi e il cuore in colate di cemento. Che gli imperi muoiano e che di tale morte sia segno tangibile il crollo delle sue strade è storia vecchia; oltre l’expo c’è chi scivola paziente e sereno nell’alveo carsico di un nuovo medioevo, una rivoluzione “annunziata” su tavola tarlata. “Santu Paulu nun perdona, San Michele nun c’abbandona”. Che forse a contemplare le clessidre s’impara a scoprire il mistero del tempo? Tortile, precario, sottile e infinito come un merletto, Balansul amministra i venti dall’alto degli Iblei. Ma non è più tempo e non si vuole capire che una clessidra, la si guardi o no, vale tanto all’ingiù quanto una lacrima in cascata libera sullo zigomo dolce di San Sebastiano.