sabato 24 dicembre 2011

ballata impopolare per un natale sereno



C’era una volta, un tempo, ma tanto tempo fa, il natale. C’era una volta, perché con il c’era una volta iniziavano tutte le favole, il natale. Adesso non c’è più. Le strenne, le luci, le offerte dei volantini dei megacentri commerciali, non parlano la stessa lingua di ciò che un tempo fu magia. Le canzoni di plastica stonate a forza tra le strade del centro innervosiscono e violentano ciò che rimane di una tranquillità svenduta a poco prezzo. C’era un tempo in cui il natale lo facevano il freddo, il fumo dei camini,le voci dei nonni, il vino rosso, le mani rugose, le pellicole in bianco e nero, l’incanto e la melodia di un pifferaio alle porte dell’inferno. C’era un tempo ma quel tempo non c’è più. Burocratica prassi nauseabonda. Cos’è il natale se non un momento per toccare con lucidità la distanza che separa te dallo squallore del resto dell’anno. Futile bagliore alimentare, grido disperato senza speranza.  Ci sono ancora tante cose che non accetto. Pensieri naufraghi: così sia,  metteteli via, come oggi così per sempre. Paradossi, incongruenze, illogicità, resistenze, alienazioni, solitudini, migrazioni, persecuzioni, vandalismi, schizofreniche varianti all’umano che vanificano qualsiasi analisi e ogni spinta motivazionale. Qualcuno grida: ciò da cui l’essere umano è fortemente dipendente, sin dalla più tenera età, sono proprio i problemi. Per questo è così facile non uscirne mai. Labirinti come carceri malefiche costruite a regola d’arte. Prepotenze silenziose, identità violate, dittature mediocri, pensieri solitari, banalità accomodanti. Bipedi senza intimità, senza emozioni da esplorare. Calchi umani, immatricolati, inventariati e macellati. Non c’è valore nel diverso, nella ricerca, e questo su ogni piano. Ogni espressione è svuotata nel suo linguaggio, trasformata in sequenza atona e distorta di parole declinate in sintassi glaciali. Questo continuo gridare al miracolo, al genio, al martire. “Giove e Saturno Oberon, Miranda e Titania, Nettuno, Titano, le stelle possono terrorizzare”. Dov’è che è nato, quando è incominciato? Quanta tristezza in questa morte programmata a contratto. Così è il natale, così è la nascita di un uomo destinato alla morte. 








            
                          testo e foto santo mangiameli

martedì 13 dicembre 2011

santa lucia dei grandangoli




Lux, lucis, lucia, al di là delle tenebre, percepito, visione, protezione degli occhi e della vista. Chi fu Diocleziano e chi Euskia. Arrestata, torturata, trascinata da una coppia di buoi, cosparsa di pece bollente, posta sulla brace ardente. Uno strappo agli occhi per non vedere. Occhi magici, devozionali, esorcismi solari. Visioni agrarie, pupille di pane. Falò nella notte per scongiurare il ritorno. Ombra della vita e della notte. Sorella demetra, madre cerere.“Santa Lucia, la notte più lunga che ci sia”… “Di Santa Lucia fin Nadal, cres il dì un pit di gial” (da Santa Lucia a Natale, il giorno cresce un passo di gallo). Così era fin quando, nel 1582, Ugo Buoncompagni, al secolo Gregorio XIII, tra soffi di bolle e codici numerici, interpose agli ingranaggi del tempo civile le orbite planetarie del tempo astronomico: inter gravissimas, fu questo il furto al popolo di 10 giorni di memoria. Notte del dono, calza colma delle vergini: "Santa Lucia, mamma mia, porta i bomboni/ nella calzetta mia./ Ma se la mamma/ non li mette/ resterà svode/ le calzette". Santa Lucia, la notte del terremoto, il terremoto del silenzio, delle macerie, dei morti, della paura, delle sirene, della fuga, dell’incertezza e della perdita del gioco, del giorno, del fango e della pioggia. “Santa Lucia, per tutti quelli che hannoo gli occhi e un cuore che non basta agli occhi e per la tranquillità di chi va per mare e per ogni lacrima sul tuo vestito, per chi non ha capito”. Tutto quello che c’è da capire, usando in silenzio e nel silenzio, la vista, l’occhio, l’obiettivo. 

                      testo e foto Santo mangiameli

sabato 10 dicembre 2011

Liriche petrolchimiche: "la luna e i falò"

“il governo non ha capito nulla. E non solo il governo. Ci sono anche pesanti responsabilità degli economisti: quelli neoclassici hanno tante responsabilità nella costruzione del modello che ci ha portato a questa crisi. Adesso si proteggono come una casta”.

Da un’intervista a Luca Mercalli in Il tempo delle scelte, di V. Palombo, da L’Europeo, n. 11, 2011. 

  
Incidenti a Priolo, fiamme nella centrale elettrica, emergenza ieri sera allo stabilimento Isab Energy del polo siracusano. Un guasto ha causato una grande fiammata e la fuoruscita di vapore. Paura tra i cittadini. "L'evento, che non ha provocato danni a persone, si è verificato nell'impianto di produzione di energia elettrica, ed è stato causato dalla rottura della flangia di una termocoppia, con il conseguente rilascio di vapore acqueo misto ad altri prodotti ed accompagnato da un lungo getto di fuoco durato alcuni secondi. L'immediato stop dell'impianto e l'attivazione delle procedure di emergenza hanno contenuto la quantità dei gas emessi". In via cautelativa e per effettuare alcune misurazioni relative all'eventuale emissione di sostanze inquinanti, è intervenuta pure un'unità nucleare, batteriologica, chimica, radiologica, dei vigili del fuoco, che ha effettuato rilievi strumentali "per accertare livelli non significativi delle sostanze rilasciate. L'impianto, depressurizzato, è al momento fermo ed in fase di bonifica".  (Repubblica palermo.it 13 giugno 2011). E poi un danno nella vasca dell’impianto di desoleazione della Priolo Servizi, feriti tre operai, altri intossicati, contusi. Saltate le vasche di decantazione collegate all’impianto fognario, tombini esplosi. Chiusa, per motivi di sicurezza, la strada statale. L’amministrazione minimizza l’incidente, così come l’assessore alla Protezione civile del comune di Siracusa: “nessun pericolo per la salute dei cittadini”. Però resta l’invito a non uscire per la possibilità di verificarsi lievi fastidi come l’arrossamento di occhi e gola e la possibilità di lacrimazione… nulla di preoccupante”. (Quotidiano di Sicilia il 10 giugno 2011.  


Così via, l’elenco potrebbe continuare. La Sicilia è una terra ad alto rischio industriale: tra il 2007 e il 2009 si sono verificati 193 incidenti, la media di uno ogni tre giorni. Nulla di nuovo, ricordo ancora il 19 maggio 1985, la notte dell’icam, un primo boato assordante, il tremore dei vetri di casa, mio padre operaio petrolchimico al lavoro. Altre cinque esplosioni scandivano la notte, mentre nei centri più vicini migliaia di cittadini intasavano con le auto le strade in un disperato tentativo di fuga. È la nostra storia, la storia di chi vive in questa terra verde, un tempo fertile colonia calcidese. Quelle stesse colonne che sostennero un tempo i templi e poi le cattedrali di una nuova fede, sin dal 1949 mutarono il loro aspetto in ciminiere per volere di nuovi dei e semi-dei che si chiamarono Rasiom, Tifeo, Liquigas, Migas, Ilgas, officine Grandis, Sotis Cavi, Siciltubi, S.a.c.c.s. Eternit, S.in.cat., e poi Esso, Espesi, Liquichimica, Enichem, Condea, Sasol, Isab, Co.ge.ma, Enel, Icam e Erg. E  sotto il segno del mito furono storie di devastazioni, truffe, speculazioni, scandali, dissesti, tangenti, corruzione e morte.



Non è cambiato nulla e la tragedia non è soltanto imminente, ma è diventata endemica, e se la recessione invita al silenzio, l’aria è ancora contaminata di diossina, un mare al mercurio misto a cromo esavalente, aree radioattive, falde idriche inquinate, discariche come cumuli di scorie sommerse. Per non parlare infine della concentrazione di mercurio riscontrata nella fauna ittica fino a cinquecento volte superiore alla soglia massima tollerata dall’uomo. Diventa chiaro come al vertice di una simile catena di morte vadano a collocarsi le collettività che da più di mezzo secolo risarciscono  in costi umani il peso di uno sviluppo assolutamente alieno alla storia del nostro territorio, una storia italiana, fin troppo italiana da declinarsi in tragedia siciliana. Studi sulla mortalità negli anni 1990-1994 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra la popolazione residente nei comuni dell’area Augusta-Priolo, -ma credo che le stime andrebbero aggiornate e riconsiderate su quanto accade in altri paesi del distretto nord della provincia di Siracusa- hanno riscontrato eccessi di mortalità tra gli uomini per cause tumorali pari al 10% in più rispetto alla media regionale e al 20%. per quelli polmonari. Così come ha evidenziato l’Ufficio di Medicina del Lavoro di Messina, le urine dei lavoratori addetti all’impianto cloro-soda, presentano concentrazioni di mercurio molto al di sopra del limite massimo consentito. Sono operai della Coemi, Fincoe s.r.l., famiglia Prestigiacomo. Con un salto generazionale la contaminazione riguarda anche le fasce più deboli generando malformazioni agli apparati cardio-vascolari e genitali. Le prime segnalazioni di nascita di bambini malformati ad Augusta datano sin dal 1980: su 600 nati, 13 con malformazioni congenite di diverso tipo,  7 i non sopravvissuti. Dal 1980 al 1989 la percentuale dei nati malformati è stata dell’1,9% contro una media nazionale dell’1,54% e dell’1,18% per il meridione. Nel decennio successivo, dal 1990 al 2000, la percentuale ad Augusta aumenta fino ad una media del 3,18% con un picco nell’anno 2000 del 5,6%. In oltre se le malformazioni genitali -tra cui la più diffusa è l’ipospadia- tra il 1980-1989 interessavano il 214 per mille dei nati -su una media nazionale del 100 per mille- nel decennio 1990-2000 si arriva al 303 per mille. I dati forniti dal reparto di pediatria dell'ospedale Muscatello di Augusta, riferiscono che il picco delle malformazioni si è avuto nel 2002 con il 6% che stacca sul 2% tollerato dall'Oms. A monte altre storie ci raccontano poi di madri che abortiscono feti deformi. È chiaro che qualsiasi indagine sul rapporto causale ambiente-malformazioni vada a scontrarsi contro il muro degli interessi economici. 


Nulla di nuovo, il capitale risale la china sempre allo stesso modo, tenuto a piena forza tra le mani della stessa classe politica, lasciandosi alle spalle cumuli di macerie industriali, umane. Sulle macerie si muove un cane che si morde la coda: perché a scongiurare una recessione endemica, che ha registrato dagli 80’ad ora un calo occupazionale di circa 11 mila unità, tra diretti e indotto, l’idea della costruzione di un rigassificatore, così come vogliono “paradossalmente” -perché in questa terra è tutto paradossale- all’unisono sia il gruppo Pdl-Sicilia e i sindacati, diventa ancora più assurda. Una controcultura, a mio avviso, dovrebbe andare ben al di là di un semplice progetto di bonifica, necessario ma limitato nel tempo. L’orizzonte, un tempo terso e infinito, ora misura sulla distanza di un pontile la profondità del suo mare, la storia della sua terra, la libertà del suo cielo. Cosa racconteremo ai nostri figli: incubi petrolchimici. Non è cambiato nulla, mio padre in pensione, nuove generazioni, i “fortunati” di una caritatevole speranza elettorale, di un benessere appeso al filo del salario fisso, di una casa comoda e senza finestre, di una terrazza con vista sul disastro, di un tranquillo natale omicida, di una morte dietro l’angolo, vanno avanti tra turni, giornalieri e cassa integrazione. Benvenuti nel cuore del polo petrolchimico, dove la vita è breve, dove la speranza è legata al soffio dei venti, dove la gioia è in recessione. La chiamano aria, ma è forse per non spaventare i bambini. Greci eravamo e senza nome. Eccoci in piena tragedia. Greci eravamo e sognavamo il tempo sui gradini di un teatro, eccoci alla catarsi, questo è il nostro epilogo, la fine dei pesci muti come i pesci.





                           testo e foto santo mangiameli

mercoledì 2 novembre 2011

Der Susan Sontag stil




La fotografia che sta al potere si nutre del potere
comprova il reale, ne dirige la percezione,
manipola l’esperienza.
Parziale e limitata si finge realtà,
investe il presente,
violenta la memoria, l’aggredisce.
L’aggressione è implicita in ogni sua forma d’uso:
annulla il soggetto, il piano curvo dell’occhio,
le aberrazioni sferiche dello sguardo,
la possibilità e la gioia dell’errore,
massifica la visibilità dell’esperienza,
trasformandola in didascalia.
Rito sociale per difendersi dalla solitudine,
calmante per l’angoscia,
oblio per l’insicuro.
Inversamente proporzionale alla memoria del passato,
essa denuncia una rottura traumatica con la storia.
Allo stesso tempo necrofila e necrofoba. 
Abitudine all’osceno,
atrocità consuetudinaria,
consumo e abuso del terrore.
Invettiva focale condivisa nel consenso mediatico delle masse,
quindi narcotica e complice della tragica morte dell’io.
Ma c’è altro?
L’impegno nel suo eccesso può addormentare le coscienze quanto destarle?
L’etica di uno scatto,
sia esso eretico,
lontano dal presente e dal veto ideologico delle masse,
può ridursi in mediocre estetica?
L’arte è solo il frutto di una combinazione tra tempo e consenso?
C’è altro al di là del cerchio o meglio al di là del quadro?
Se la fotografia -quella che rinuncia e si oppone al potere-
frantuma il reale
e ritesse la trama del racconto dell’esperienza umana
secondo schemi urticanti, solitari, carichi di attrito,
senza merletti, bollicine e vernissage,
come fili tesi dalla mente al cuore
trasformando le ombre in vita e la luce in morte,
può dunque svelarsi nei limiti catodici di un consenso mediatico?
C’è qualcos’altro “Sulla fotografia”?
Si! Un viaggio all’estremo,
una ricerca del diverso, equanime nell’osceno e nel riconoscimento del grottesco,
sofferenza umana solitaria,
stagione all’inferno da cui  tornare,
cambiati per sempre e senza battere ciglio.



fotografie e testi Santo Mangiameli

mercoledì 26 ottobre 2011

circuìti circensi

“io del circo non so niente; 
mi sento l’ultimo al mondo a poterne parlare con conoscenza di storia, di fatti di notizie”

Federico Fellini

































venerdì 23 settembre 2011

Il violinista Jones




 

Il violinista Jones

Edgar Lee Masters

 

La terra emana una vibrazione
là nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tu ti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolìo di un mulino a vento - solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta -
e una risata spezzata, e mille ricordi,
 
e nemmeno un rimpianto.


                           foto santo mangiameli venezia 2011

venerdì 5 agosto 2011

lisboa




A Lisbona tutto si ferma, ogni cosa evolve verso l’infinito, 
scorre come lento scorre il Tago 
che non si accorge dell’oceano e delle burrasche invernali.
Così, viandante, ci si ferma sui tetti e ci si sente fiume.
Qui la fede è una casa sull’altra, un mattone sull’altro 
in attesa del tramonto, 
tra il viola del cielo e l’azzurro del fiume. 
Si sente la gente tra le vie, urlare, ridere, piangere. 
Ogni urlo, sorriso, lacrima 
qui è eterna perché scivola verso l’oceano e si fa mare.
Qui tra queste vie, dove gli ingranaggi di un vecchio orologio segnano le due e venti di un giorno senza tempo, 
io mi fingo come colui che qui visse 
e scrisse all’ombra di un cappello.
Poeta, viandante, marinaio, operaio, cameriere,
senza faccia e senza nome.
Obrigado, obrigado, gridava la città, 
obrigado le dicevo io, obrigado di avermi dato un’anima, 
imperfetta si, ma un’anima. 
Scende la notte e il 28 fa sentire ancora il suo respiro:
è il lamento di Doña Rosa,
è il sorriso di Corradiño.
Benefica, Benefica urlava … l’unica lingua che ci univa al mondo, perché il mondo era un pallone
e come un pallone andava preso a calci,
calciai anch’io e rimbalzò dall’Alfama al Bairro Alto,
dalla Baixa a Mouraria, per tornare come il 28 qui a Sao Gorge, dove la notte calava già:
“vou onde o vento me leva e não me deixo pensar”
diceva la mia nuova maglietta.
Io la indossai e la portai in giro per il mondo.








testo e foto s. mangiameli