Crisi is on my mind! Per le strade, sui giornali, ovunque; che lo
voglia o meno, la crisi non da tregua: mi accompagna come un mantra infinito. Ma -e con quanta ironia- , il greco κρίσις vuol dire scelta, decisione. Se così è, mi decido a capirne di più, a fare la mia
scelta. Edgar Morin ha detto che se questa è una crisi di
pensiero lo è perché “il grano della cultura scientifica non arriva più al
mulino della cultura umanista”. Ne segue che nella nostra società qualsiasi spazio critico corra il rischio di diventare vittima di uno scientismo folle e senza scrupoli. C’era una volta -e non è una fiaba- l’umanesimo,
c’era un tempo nel quale in questo paese ci si impegnava a credere, era
il tempo in cui a stupire era il calcolo e la parola, l’idea e la forma, l’uomo
e la natura: cos’è l’umanesimo se non compassione per gli altri e per il mondo.
Così sono cresciuto, sapendo che questa è stata l’Italia, la mia terra, la mia parola. Dai ponteggi di Assisi al senno di Astolfo, dal
cannocchiale all’utopia di un monaco calabrese, dalla ginestra ai
quaderni dal carcere, dalla resistenza al suicidio di ogni luna e falò, qualcosa è cambiato. Sul lungo mare di
Ostia non ho visto crescere quel grano e ancora oggi l’ho visto violentato, inaridito, sfruttato a più non posso da mani fin troppo avide. Un mulino senza fiume è una ruota inceppata; e senza fiume, né ruota, non c’è
pensiero, umanità, civiltà. Questo "villaggio" che oggi codifica il futuro sull’inganno
allo specchio, incassa e spreme
indistintamente nella sofferenza di un conflitto endemico.
Capire, informare, comunicare, condividere, costruire ecco cos’è che stiamo
perdendo. La conoscenza -continua Morin- "è oggi più che mai il capitale più prezioso per
l’individuo e la società". Come dire che è "meglio
una testa ben fatta che una testa ben piena". Di teste piene,
stravolte, ossessionate ne ho viste tante, sarà per questo che ovunque io vada e con
chiunque io parli non senta altro che il riverbero di una crisi sempre più dissimulata: distillata come olio santo dalla
casta sacerdotale, spalmata a colpi di manganello e manovre fiscali, incisa nell'inconscio, essa sembra avere impedito ogni altra via. Cosa non si farebbe per venirne
a capo; e intanto la demolizione dei diritti sembra quasi approssimarsi
alla fine di una civiltà. Cosa fare? Un diritto alla città -spiega Henri
Lefebvre- che vada contro qualsiasi forma di esclusione», un diritto alla città, sia essa locale o globale, una nuova forma mentale e sociale che muova dal basso intesa in termini di diritto
esteso alla città. Una città che superi la cartografia e nella quale, dice Amartya Sen, non siano importanti solo l’accesso al cibo o la
disponibilità di una casa adeguata, ma la libertà di poter scegliere fra differenti traiettorie
per la propria vita. Ed è un pensiero che
scorre lento come un fiume di saggezza, che mi consola quando gli argini
sembrano crollare, in ogni momento in cui la crisi is on my
mind.
testo e immagini
santo mangiameli