Riproponiamo
uno dei tanti scatti realizzati da James Nachtwey nel Darfur, ai
confini orientali del Sudan. Si tratta di una madre che accudisce il
figlio malato di epatite E nell'ospedale ristrutturato e gestito dai
Medici Senza Frontiere francesi. Lo facciamo per due motivi. Il primo è
per capire quali possano essere le condizioni umane in un paese, qual è
il Sudan, dilaniato da una guerra civile, disumana e ai limiti del
genocidio, che sin dal 1956 spacca il paese in due metà: quella araba
musulmana e quella cristiana animista in un contesto in cui siccità,
malnutrizione, malattia e povertà sono oramai endemiche.
Così Nachtwey: "Non c'è un posto ideale per costruire un campo profughi" anche perchè l'unica acqua è quella delle pozze infette ad essere "disponibile quando gli accampamenti siano circondati dalle milizie jaweed -filogovernative- che uccidono gli uomini o violentano le donne che si avventurano alla ricerca di cibo e di legna". La seconda delle motivazioni è perchè la relatà del Sudan diventa emblematica, al pari del Chad e di tante altre realtà africane, per comprendere quella dei migranti che atttraversano, in ultima battuta, il Mediterraneo in fuga dalla morte. Osservava qualche anno fa Giulietto Chiesa che questa gente che "scappa dalla morte portandosi dietro la morte", è in crescita esponenziale: "E verranno a milioni, con una legge del contrappasso dantesca che è racchiusa nel dato demografico che facciamo fatica a capire". Ci auguriamo che questi pochi spunti possano far riflettere su ciò che stiamo vivendo oggi, sulle realtà che ci circondano, dalle barche arenate ai c.a.r.a, alle assurde affermazioni dei nostri politici xenofobi e al dato burocratico che pensa alle statistiche e che dimentica come dietro ogni singolo numero ci sia di fatto un uomo, con la sua storia,i suoi diritti, i suoi occhi, i suoi pensieri, la sua memoria.
foto James Nachtwey
testo Santo Mangiameli
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