Così si è arrivati alla discendenza da Noè o, ancora meglio/peggio, da Caino. Sono numerose le leggende sui rom e sulle loro origini bibliche: potrebbero essere una delle tribù d'Israele catturate dai re assiri nel 721 a.c., oppure i Cananei emigrati in Europa dopo la conquista di Giosuè o, ancora, i discendenti di Adamo e di una prima moglie, avuta in un momento precedente ad Eva: per cui, essendo sfuggiti al peccato originale, sarebbero esonerati dall'obbligo del lavoro, di "guadagnarsi il pane col sudore della fronte".
E' chiara la tendenza che vuole l'origine degli Zingari riconosciuta a popoli noti per le pratiche magiche, vissuti in Egitto, Caldea, Siria, Gallia. Alcuni ellenisti hanno individuato nella Grecia antica le famose origini: gli Zingari sarebbero i Siginni menzionati da Erodoto; così le sibille, le sacerdotesse di Dodona, sono state associate alle indovine zingare. I Siginni sarebbero i Sinti, di cui parla Omero: "il popolo 'dal barbaro linguaggio' noto a Lemno, caro a Vulcano".
C'è pure una leggenda siciliana: gli Zigani sarebbero i misteriosi 'Sicani' che nei tempi antichi abitavano l'isola. La leggenda più stravagante è comunque quella raccolta da J.A. Vaillant (I Romi. Storia vera dei veri zingari, 1857)secondo la quale: "questi titani indo-tartari, padroni della terra che percorrevano in lungo e in largo [diedero] il loro nome a Romolo, fondatore di Roma introdussero il culto di Diana ed Apollo, inventarono il Vangelo 11 secoli prima di Cristo..."
Ancora leggende che s'intrecciano: gli Zingari sarebbero discendenti di una popolazione preistorica vissuta in Atlantide, il misterioso continente distrutto da un cataclisma. I sopravvissuti sarebbero sbarcati in Africa, fermandosi (ovviamente) in Egitto.
La favola di Atlantide colpì la fantasia di Folco de Baroncelli-Javon, poeta provenzale: "immaginò gli atlantidi in fuga sui loro navigli, gli uni verso ovest, dove sarebbero stati gli antenati degli Indiani d'America, gli altri verso est per entrare nel Mediterraneo e sbarcare nella Camargue, millenni prima che vi si instaurasse il culto di Sara la Kalì, Sara la Nera" (Vaux de Foletier, 1977, p.31).
"In quel paese in cui sorge il sole dietro una montagna scura, c'è una città grande e meravigliosa, ricca di cavalli. Tanti secoli fa, tutte le nazioni della terra viaggiavano verso quella città, a cavallo, a dorso di cammello, a piedi... Tutti vi trovavano rifugio. C'erano pure nostre bande. Il sovrano di quella città li accoglieva con favore... Vedeva che i loro cavalli erano ben curati e propose loro di stabilirsi nel suo impero. I nostri padri accettarono e piantarono le loro tende nelle verdi praterie. Là vissero a lungo, contemplando con riconoscenza l'azzurra tenda dei cieli... Ma il Destino e gli spiriti del male vedevano con dispiacere la felicità del popolo dei Rom. Allora mandarono in quelle contrade serene i malvagi cavalieri Khutsi, che appiccarono il fuoco alle tende del popolo felice e, dopo aver passato gli uomini a fil di spada, ridussero in schiavitù le donne e i bambini. Tuttavia molti riuscirono a fuggire e da allora non osano più sostare a lungo nello stesso posto". (Michele Kunavin).
"Molto, molto tempo fa, quando i nostri antenati non sapevano nulla dei veloci cavalli, quando, come le altre razze, vivevano in case di legno e di pietra, una grande afflizione colpì il nostro popolo... Trattati come paria disprezzati dall'umanità, i nostri antenati vivevano in continua paura, tremando davanti ad ogni soldato o contadino, perché ognuno aveva il diritto di uccidere i figli della nostra razza... Nuovi nemici arrivarono dalle alte montagne, intrisero del nostro sangue le nostre praterie, i nostri campi, i nostri giardini; credevano che la nostra razza stesse per perire. Ma la dea Laki decise altrimenti: mandò cavalli veloci per salvare il nostro popolo dalla morte. Migliaia di cavalli galopparono giù dalla montagna e i nostri antenati li presero per fuggire lontano dal nemico. Il popolo dei Rom fuggì su quei cavalli, come il cervo davanti al lupo. Per questo motivo fuggono
ancor oggi perché sono sempre circondati da nemici"
(Vaux de Foletier, 1977, p.40).
(Vaux de Foletier, 1977, p.40).
Nel 1011 il poeta persiano Fidursi terminò il "Libro dei Re": in esso si racconta l'arrivo di diecimila 'Luri', accolti dal re Behram-gor, che li chiese a suo suocero, il re indiano Shengùl:
"O re cui giunge la preghiera altrui,
Di girovaghi musici trascegli
Uomini e donne, a diecimila, tali
Che cavalcando battere in cadenza
Sappian liuti, e a me li invia ben tosto
Perché la voglia mia per questa gente,
Celebre tanto, satisfatta sia".
L'Olocausto zigano è ricordato da pochi. Solo nel marzo del 1995 è stato costruito un monumento nel lager di Buchenwald, che ricorda la tragedia degli Zingari. La sentenza del tribunale di Norimberga ha riservato poche parole (alcune discutibili) a questo genocidio:"I gruppi di azione ricevettero l'ordine di fucilare gli Zingari. Non fu fornita nessuna spiegazione circa il motivo per cui questo popolo inoffensivo, che nel corso dei secoli ha dato al mondo, con musica e canti, tutta la sua ricchezza, doveva essere braccato come un animale selvaggio. Pittoreschi negli abiti e nelle usanze, essi hanno dato svago e divertimento alla società, l'hanno talvolta stancata con la loro indolenza. Ma nessuno li ha mai condannati come una minaccia mortale per la società organizzata, nessuno tranne il nazionalsocialismo, che per bocca di Hitler, di Himmler, di Heydrich [un alto funzionario di polizia], ordinò la loro eliminazione".
( in M. Karpati, 1971). La notte di Natale del 1941, migliaia di Zingari furono uccisi dal fuoco degli Einsatzgruppen ('gruppi di azione') nazisti. Accadde in Crimea, nella periferia di Simferopol. Nell'agosto del 1944 Himmler ordinò lo sterminio totale.Venti aprile 1974: "Mi sono alzato prima di tutti gli altri, circa alle cinque. E intorno, ogni dieci metri, c'era la polizia con i mitra... Quando sono stati fra le baracche, hanno fatto alzare tutti quelli che dormivano, anche i bambini... hanno fatto la perquisizione... poi hanno cominciato a tremare, i bambini hanno cominciato a piangere... Fino alle tre e mezza del pomeriggio ci hanno tenuti circondati, senza mangiare senza sigarette, senza acqua... Poi quello in borghese e il capitano ci hanno comandato di andare via da quel terreno (Roma, Settecamini). Entro le cinque della sera dovevamo sparire di lì: sparire materialmente e moralmente"
(M. Karpati, 1974)
da "Nati per distacco", endiadi di scrittura e fotogiornalismo, di Santo Mangiameli e Sandra Quagliata.
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