Nel
fumo di una sigaretta si dissolve in piena notte sullo schermo di una tv la
malinconia di un sorriso. Tra il fumo mediatico e quello reale che riempie la
stanza, misuro il tempo che mi separa dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, da
quell’estate così calda che ha cambiato
irrimediabilmente la storia del nostro paese. Può sembrare rassicurante
dopo venti anni trovare le pagine dei tg, dei programmi televisivi e della
stampa, attenti a non perdere l’attenzione e la memoria su uno dei momenti più
delicati e quindi meno conosciuti, del nostro paese. Mi rassicura al punto tale
da farmi credere che finalmente, chiuse le pagine su un ventennio di volontarie
censure e disinformazioni politiche, gli ingranaggi della “vecchia e cara”
democrazia abbiano ripreso a marciare correttamente. Non che le nuove pagine
appaiano limpide; l’attentato di Brindisi, se non altro, è il segno che il
binario che accomuna la storia del terrorismo e della democrazia, non trovi mai
fine nel nostro paese. Se, come in un gioco di specchi, provassimo poi a
sovrapporre i due momenti, senza dimenticare burattini e burattinai che stanno
in mezzo, la certezza che qualcosa non torni tra le maglie del racconto sembra
concreta. Riavvolgere il nastro non è certo facile. Ciò che sfugge in questi
giorni, mi sembra, sia ciò che accade già da anni al Procuratore Capo di
Caltanissetta, Sergio Lari.
Per capire meglio ricordo dunque l’attentato
programmato, quattro anni fa, dalla mafia ai danni del magistrato della procura
nissena per la riapertura delle indagini sui mandanti occulti delle stragi del
‘92. Queste le sue parole: «Sono a conoscenza delle relazioni delle forze dell’ordine
che parlano di un rischio di attentato ai miei danni da 4 mesi: da allora il
ministro dell’Interno si è attivato per rafforzare le misure di protezione a
mia tutela facendomi assegnare la scorta che ha sostituito la vigilanza
semplice. Io comunque vado avanti nel lavoro con la serenità di sempre». Il suo
lavoro è andato sicuramente avanti, con una velocità che non può che non
ricordare le sigarette di Borsellino. Sergio Lari non ha dubbi sull’assassinio
del magistrato Borsellino, sull’accordo e la trattativa tra Stato e mafia e sul
patto tra esponenti di Cosa Nostra e uomini dei servizi segreti. Il suo lavoro,
le revisioni del processo a carico di Gaspare Spatuzza, stanno stravolgendo il
panorama delle indagini su Cosa Nostra, ribaltando condanne e certezze dell’ultimo
ventennio, chiamando in causa quella sottile zona grigia tra stato e criminalità
organizzata.
Ciò
nonostante la Procura generale della Cassazione vuole venire a conoscenza di
quelle pagine in cui i magistrati di Caltanissetta, tra cui il il Gip nisseno
Alessandra Giunta, parlano dei “protagonisti’’ della trattativa tra mafia-Stato
con passaggi molto duri sulla classe politica dell’epoca. Nomi celebri come
quello degli ex ministro dell’Interno e vicepresidente del C.S.M. Nicola
Mancino, Virginio Rognoni, Giovanni Conso, l'ex ministro della Giustizia Claudio
Martelli, gli ex presidenti del consiglio Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, e l'ex
presidente dell’Antimafia Luciano Violante. Non c’è tanto da allarmarsi, senza
dilungarsi è ovvio ripensare alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, secondo
cui fosse stato Mancino a parlare col padre Vito, al suo appuntamento del 1º
luglio del ‘92 con Paolo Borsellino, giorno in cui diventava ministro, alle sue
amnesie in merito. Pensare all'impegno antimafia del Ministro Claudio Martelli
criticato sulla base degli scambi elettorali tra il Partito Socialista Italiano
e i pentiti Angelo Siino, Antonino Giuffrè e Gaspare Spatuzza, e al suo avviso
di garanzia per concorso in bancarotta fraudolenta nel crac sindoniano del
Banco Ambrosiano, banca da cui il PSI aveva attinto il "conto
protezione" grazie a Licio Gelli. Di Giovanni Conso, nominato nel governo
Amato I al posto del dimissionario Martelli e riconfermato nel successivo
governo Ciampi, direi che il 5 marzo 1993 depenalizzò, con un decreto legge
retroattivo, il finanziamento illecito ai partiti tanto da scagionare gli
inquisiti di Mani Pulite; anch’egli poi dimissionario all'indomani della scelta
di Scalfaro di non firmare il decreto, in seguito alla protesta dei magistrati
della procura di Milano. Lo stesso Conso che da Ministro di grazia e giustizia,
nel marzo 1993, non rinnova il 41 bis ai 140 mafiosi sottoposti a carcere duro
col pretesto, tutto individuale, di indurre cosa nostra a smettere con le
stragi. Di Luciano Violante, presidente della Commissione parlamentare Antimafia
dal 1992 al 1994, venuto a sapere da Tommaso Buscetta dell'esistenza di un
terzo livello della mafia connesso alla politica. Del processo Mori, di Rognoni
e delle sue pregresse responsabilità sull’omicidio Moro, e delle amnesie di
Amato premier nell'anno delle stragi.
Ecco perché, a prescindere dalle
rispettive responsabilità penali, ciò che fa riflettere è il giudizio sulla
responsabilità di una classe politica che ha governato il Paese in un momento
così delicato. Così Lari: «Poteva un governo di transizione, che voleva
prefigurare una nuova Italia, permettersi di trattare apertamente con la mafia?
Ecco, dunque, la necessità di agire senza clamore. Ecco, dunque, il verosimile
motivo di tante amnesie da parte di uomini di Stato, che per alcuni sono durate
17 anni, per altri continuano, probabilmente, a perdurare ancora oggi». Prima
che la Cassazione requisisse le carte di via D’Amelio giustificando la
richiesta come una normale attività di vigilanza, il 20 luglio 2010 il Procuratore
aggiunto di Caltanissetta Domenico Gozzo affermava che se magistratura e stato
fossero stati capaci di reggere le verità emerse sulle stragi, a crollare
sarebbe stato il sistema politico italiano. Per capire facilmente voglio dire
che meno di un mese fa, un attentato incendiario ai danni del magistrato e
della moglie, il gip Antonella Consiglio, ha messo in pericolo alcune proprietà
in contrada Zucco, in territorio di Terrasini. Chiaramente Gozzo è un
magistrato impegnato nelle indagini sulle stragi del ‘92-’93 e in quelle
relative alle cosche mafiose gelesi; il suo nome, al pari di Sergio Lari, è
emerso tra gli elenchi del nuovo piano di Cosa Nostra teso a colpire alcuni
magistrati siciliani impegnati nelle indagini antimafia. Ma tornando al 2010 e
all’eventuale crollo del sistema politico: a calmare gli umori non a caso è
stato Beppe Pisanu, deputato D.C., Forza Italia, poi P.D.L., ex ministro degli
interni, più volte sottosegretario di stato al Tesoro e alla Difesa, piduista,
anch’egli coinvolto nello scandalo del Banco Ambrosiano, responsabile primo dei
brogli elettorali delle politiche del 2006 ma non ultimo eletto l'11 novembre
2008 presidente della Commissione Parlamentare Bicamerale Antimafia su
indicazione dei Presidenti di Camera e Senato.
Non sembra poco per intuire
come, tra pupazzi e pupari, dietro l’ufficialità istituzionale si sveli quella
sottile zona grigia tra stato, massoneria deviata e criminalità organizzata. Fu
lo stesso Giovanni Falcone a dimostrare come dietro il criptico Camea -i cui
membri diedero ospitalità al piduista Michele Sindona durane il suo finto
sequestro siciliano- si annidasse una grande loggia segreta che, coadiuvando le
minori Iside 2, Ciullo d' Alcamo, Armando Diaz, univa gli uomini di onore di
Cosa Nostra con la massoneria segreta in odor di affari e giustizia. Vero
baricentro per uomini politici, magistrati, trafficanti di armi e droga,
imprenditori, capimafia, banchieri, notai, avvocati e ingegneri. Solo dopo le
stragi del ‘92 si apprende che ad essa erano affiliati, tra i tanti, Totò Riina,
Michele Greco, Francesco Madonia, Stefano Bontade, Mariano Agate. L’orizzonte
delle logge segrete di fatti spiega perché durante gli anni ’80 venissero
affiliati alla massoneria personaggi come Angelo Siino, “ministro dei lavori pubblici”di Totò
Riina e coinvolto nello scandalo elettorale del psi, o Salvatore Greco di
Ciaculli, dell’Armando Diaz, detto "il "senatore" per l' abilità
nel contattare e convincere i politici. All' Armando Diaz erano iscritti anche
magistrati, avvocati, professionisti, editori. C' erano anche i cugini Salvo,
Nino e Alberto e il Gran Maestro Pietro Calacione, impiegato dell' ospedale
civico che aveva buoni contatti pure alla Casa Bianca, il deputato della D.C.
Canino. Si tratta di un intreccio sempre meno misterioso, anno dopo anno,
inchiesta dopo inchiesta, fino alle 1687 pagine della requisitoria sui delitti
politici di Palermo. Fra quei fogli c' è il verbale dell’interrogatorio di Nara
Lazzerini, una donna che frequentava Licio Gelli che confessa tra gli amici del
Venerabile la presenza di due siciliani, l' euro-parlamentare Salvo Lima e l'
onorevole Luigi Gioia. La venuta di Sindona per altro non era indifferente
sulle sorti della storia siciliana: è lo stesso Stefano Bontade a spiegare i
benefici di un’affiliazione piduista al boss Michele Greco, benefici che
sarebbero arrivati sia sul piano politico-finanziario, sia su quello di un
possibile golpe separatista della regione.
Ma Chi è Gelli, chi è Sindona, cos’è
la P2, cosa sono le trame atlantiche, Gladio, quale il ruolo dei vertici
politici, finanziari e militari nei decenni che precedono le stragi del ’92, e
in quelli successivi che vedono la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la
nascita di uno dei partiti più anomali della storia della repubblica. Le
inchieste parlamentari e il lavoro di Tina Anselmi e Sergio Flamigni hanno
chiarito ampiamente le responsabilità della loggia segreta, la sua missione
anticomunista, il suo fine eversivo e golpista nei confronti della repubblica
italiana. Non c’è spazio per ricostruire le manovre e la scalata al successo
della P2 di Gelli, del coinvolgimento diretto nelle stragi della storia
italiana, tra cui l’operazione Tora-Tora e il golpe Borghese, piazza Fontana e
della Loggia, dell’Italicus, nel delitto Moro e Pecorelli, nella scalata ai
mass-media e nel crollo dell’Ambrosiano, delle sue diramazioni internazionali,
tra cui il golpe di Pinochet e le relazioni con i servizi segreti americani. In
poche battute mi piacerebbe dire come questa organizzazione segreta annoveri
tra i tanti -oltre 3000 affiliati- il fratello Silvio Berlusconi con tessera n.
1816, codice E. 19.78. Lo dico perché mi sembra giusto ripensare alla vicenda
Berlusconi, non tanto dal ’93, anno della fondazione della società di
produzione multimediale Mediaset o dal ’94, anno a partire dal quale ottiene
fino ad oggi quattro incarichi da presidente del Consiglio, e diventa il terzo politico italiano
per durata complessiva al governo e il primo dell'Italia repubblicana, ma perché
è giusto guardare agli iceberg rendendosi conto di ciò che sta al di sotto del
mare.
Berlusconi sin dai ’70 è parte integrante dei progetti piduisti, così
come ha ampiamente dimostrato Travaglio con la sua lettura comparata del Piano
di Rinascita gelliano e le iniziative politiche e economiche berlusconiane. Tra
tutti l’assalto ai mass-media e gli attacchi alla magistratura. Aggiungerei
anche l’insistenza sul ponte di Messina, progetto piduista contemplato già nei ’70
e la costante presenza del premier sul panorama finanziario massone. Afferma Sindona
che la milanese Banca Rosina, attraverso la quale il palazzinaro Berlusconi
incentivava la sua speculazione edilizia, insieme al Banco di Sicilia sono i
referenti diretti del riciclaggio di Cosa Nostra. Il magistrato piduista Elio
Saggia, tessera P2 n. 1888, indagato dalla commissione disciplinare del ministero
dell’Interno ed espulso dall’ordine nel 1983 dal Csm, diventerà uno dei
numerosi avvocati di Silvio Berlusconi. Lo stalliere, il boss mafioso Vittorio
Mangano, legato ai fratelli Grado, -a loro volta parte in causa di un traffico
internazionale di armi e droga alle dipendenze di una regia piduista- terminale
milanese della famiglia palermitana di Porta Nuova, non è l’unico criminale a
dimorare tra le mura di Arcore, lo accompagnano infatti Ciccio Mafara, boss
ucciso in un agguato mafioso, i fratelli Contorno e gli stessi Grado. Non è un
caso dunque che gran parte dei fratelli piduisti venga scagionato dal giudizio
della commissione disciplinare, per trovarsi indenne e pienamente rappresentata
all’interno della seconda repubblica e parte attiva nel “nuovo governo”
Berlusconi: possiamo dirlo con certezza di Publio Fiori, n. 1878, ministro ai
Trasporti, Antonio Martino, “aspirante piduista” con domanda inoltrata di
affiliazione, Fabrizio Cicchitto,
n. 2232, e il già citato Beppe Pisanu. Lo stesso Gelli, in perfetto
stile massone, conterà 7 ministri piduisti, senza precisare i nomi nel primo
governo Berlusconi. L’idea del ponte poi, non è soltanto geografica ma
chiaramente culturale e politica, il fatto che la Sicilia sia stata sempre
roccaforte berlusconiana e che Angelino Alfano prima e poi Nitto Francesco
Palma si siano succeduti in ultima battuta come ministri di giustizia, credo
che parli da se.
Senza creare relazioni dirette e presunte connivenze la
Corleone di oggi è proprio la meno celebre Palma di Montechiaro, paese di
provenienza dell’omonimo ministro e realtà politica da cui proviene Alfano.
Ridurre Berlusconi a questo purtroppo è poco, ma vorrei tornare alle stragi del
‘92 e quindi a quelle del ’93 per annotare come se l’unico movimento politico a
beneficiarne apparentemente sia stato proprio quello berlusconiano, il carro dei nuovi vincitori traghetta
nell’imminente futuro gran parte delle idee e delle forme di un vecchio potere che controlla ormai il
paese almeno sin dai ’70. Lo sapeva bene il piduista siciliano Sindona: «Gli ho
detto che lui - Giovanni Falcone-, la Commissione parlamentare antimafia, e le
controparti americane -per quanto ammirevoli siano le loro intenzioni e la loro
dedizione- non si erano nemmeno avvicinati, e mai ci sarebbero riusciti, agli
odierni centri del potere creati dal traffico della droga. Gli dissi che quei
centri sono veri ingranaggi, le vere fornaci che fanno funzionare qualcosa che è
stato solo superficialmente sfiorato dalla cattura e dalla confessione di gente
come Buscetta e Badalamenti, o dalla scoperta della cosiddetta “Pizza
connection” e “Sicilian connection”». Verità non molto lontane dalle analisi
del procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari: «In Italia la questione criminale e la questione sulla
giustizia non sono aspetti secondari, ma s'intrecciano alla storia del Paese. A
20 anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio, la situazione è molto cambiata,
ma quei fatti hanno condizionato pesantemente la storia del nostro Paese … Fare
chiarezza su quei fatti oggi vuol dire ricostruire le radici
politico-istituzionali del Paese. Molti ragazzi non hanno vissuto la
drammaticità di quegli anni -aggiungendo- l' esigenza di fare chiarezza su quei
fatti significa anche ricostruire le radici dell'attuale evoluzione
dell'assetto politico-istituzionale del nostro Paese -il magistrato ha quindi
concluso- Quando sento parlare di mandanti esterni rispetto alle stragi del '92
mi viene da sorridere. Chi conosce bene l'organizzazione Cosa Nostra sa bene
che non riconosce nessun'altra autorità, che nessuno è in grado di darle
ordini. Semmai con la mafia si possono ipotizare alleanze di natura strategica
che possono essere intessute solo quando Cosa nostra è interessata a stipularle.
Quindi, piuttosto che di mandanti esterni, parlerei di concorrenti esterni, cioè
di soggetti che nella fase esecutiva delle stragi possono avere avuto interesse
a sedersi allo stesso tavolo per portare avanti un obiettivo parallelo».
Non c’è
da meravigliarsi dunque sulla richiesta della Procura generale della Cassazione
di invio dell’ordinanza su via D’Amelio: a prescindere dalle competenze, che
non sembrano specifiche in merito, anche perché nessuna responsabilità è stata
accertata ancora a carico di personalità politico-istituzionali nel disegno
criminale stragista, sembra significativo quanto detto da Giovambattista Tona,
il presidente dell’Anm nissena che per dieci anni ha fatto il gip nel distretto
di Caltanissetta: «Non ricordo ci siano precedenti analoghi, credo anzi che non
ce ne sia neppure uno», ma la Cassazione chiede le carte di via D’Amelio “E
solo una normale attività di vigilanza”.
testo e foto santo mangiameli