“Girando per le strade mi resi rapidamente conto di trovarmi intrappolato nella rete dell’apartheid. Anzitutto mi trovavo davanti al problema del mio colore di pelle. Ero bianco.[…] Qui, in Africa, diventava la distinzione principale e, per la gente semplice, anche l’unica. Un Bianco. Un Bianco ossia un colonialista, un predatore, un occupante. Avevo invaso l’Africa, […] sterminando la tribù dell’uomo davanti a me, sterminando i suoi antenati. Ne avevo fatto un orfano e, per giunta, un orfano umiliato e impotente. Sempre affamato e ammalato. […] non riuscivo in coscienza a risolvere il problema della colpa. In quanto Bianco, per loro ero colpevole. La schiavitù, il colonialismo, cinquecento anni di torti subiti erano opera dei bianchi. Dei Bianchi, e quindi anche mia. […] Loro, i Neri, non avevano mai conquistato, occupato o imprigionato. Potevano permettersi di guardarmi dall’alto in basso. Erano di razza nera, ma pura. Mi facevano sentire disarmato senza niente da dire. Stavo male dappertutto. Per quanto privilegiata, la mia pelle bianca mi intrappolava nella gabbia dell’apartheid. ”
Ryszard Kapuscinski, EBANO
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